Il geriatra è il medico che si è specializzato nella cura dell’anziano, si occupa del suo stato di salute sia dal punto di vista fisico che psicologico.
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Per demenza vascolare si intende un termine generico che descrive disturbi del pensiero, dell’organizzazione, del senso critico, della memoria.
Continue readingPerche’ serve la fisioterapia per gli anziani
PERCHE’ SERVE LA FISIOTERAPIA PER GLI ANZIANI
Le capacità motorie e la loro riabilitazione (ne abbiamo parlato qui) richiedono un’attività di fisioterapia continua, che però a sua volta richiede un’altrettanta continua cura. I problemi degli anziani sono sempre più diffusi e gravi: vediamo come risolverli, parlando di fisioterapia.
GLI ANZIANI HANNO SEMPRE PIU’ BISOGNO DI FISIOTERAPIA
La realtà è semplice: i ragazzi incominciano le attività sportive agonistiche sempre più precocemente e con un impegno sempre maggiore; gli adulti hanno ritmi di vita sempre più dinamici; gli anziani svolgono (o desiderano svolgere) attività ricreative in maniera maggiore che nel passato. Quindi, le aspettative dei pazienti di qualsiasi età sono enormemente aumentate per risolvere i problemi motori(di cui abbiamo parlato qui). Allo stesso tempo questo scenario positivo si tinge di criticità perché le cadute che costituiscono un fenomeno sempre più frequente tra gli anziani, con conseguenze spesso gravi per la loro autonomia e per la loro qualità di vita.
Ecco che emerge tutto il valore del fisioterapista. Infatti il rischio cadute può essere notevolmente ridotto, addirittura dimezzato, seguendo alcune semplici precauzioni giornaliere e praticando una ginnastica quotidiana mirata. Ma non certo da soli. Serve una struttura adeguata e professionisti comprovati.
Secondo Antonio Bortone, presidente della Associazione Italiana Fisioterapisti: “le cadute e le loro gravissime conseguenze raccomandano un programma personalizzato di esercizi condotto da fisioterapisti. Non una normale ginnastica, bensì esercizi mirati da affiancare ad una leggera attività fisica, da effettuarsi nell’arco dell’anno così da garantire una tenuta di forma ad ossa e tendini, condizione essenziale per l’autonomia negli spostamenti. Questa attività fisica dovrebbe però essere accompagnata dalla riduzione degli ostacoli dell’ambiente dove l’anziano vive, ad esempio attraverso la rimozione di tappeti, mobili bassi ed instabili, la scelta di una adeguata illuminazione nelle stanze, la scelta di calzature sicure con suola non in cuoio e chiuse nella parte posteriore”.
Non è un caso allora che nella graduatoria dei luoghi domestici a più alto rischio di infortuni ci sia, oltre la cucina, il tragitto tra la camera da letto e il bagno. Ecco delle semplici precauzioni per evitare cadute pericolose.
LA FISIOTERAPIA AL CENTRO DI UNA CURA CONTINUA DELL’ANZIANO
Il fisioterapista è la figura professionale necessaria per la riabilitazione degli anziani: una coerente e continua attività di fisioterapia migliora l’equilibrio, la stabilità, la camminata e i movimenti in generale.Inoltre la fisioterapia è un percorso terapeutico e riabilitativo indispensabile per una guarigione veloce e corretta soprattutto in caso di interventi ortopedici, infortuni che possono limitare il movimento e/o la mobilità.
Insomma, la fisioterapia deve diventare come una “sana abitudine” quotidiana per gli anziani accolti in una struttura adatta– sia per la vita quotidiana con l’obiettivo del miglioramento delle capacità motorie (rinforzo della muscolatura, al miglioramento della mobilità articolare e della coordinazione), sia anche in seguito ad un trauma o ad un’operazione chirurgica, perché la fisioterapia offre un intervento diretto e mirato.
I nostri interventi di riabilitazione fisioterapeutica si prefiggono obiettivi tecnicamente e socialmente adeguati, tra cui:
– il recupero delle funzioni perdute e la valorizzazione di quelle conservate
– il coinvolgimento motivazionale dell’anziano nelle varie fasi del processo riabilitativo e la sua educazione alla convivenza con quella parte di deficit motorio eventualmente non recuperabile
– la sua risocializzazione, nel senso di finalizzare l’intervento alla possibilità di svolgere piccole attività operative, e nel tempo libero di intrattenere rapporti interpersonali in maniera adeguata
– prevenire piaghe da decubito ed altre complicazioni
e soprattutto la riduzione del carico di assistenza e del disagio sofferto dall’entourage del paziente, cioè dalle persone che si prendono abitualmente cura di lui
Il fattore e la garanzia del successo della fisioterapia resta un’assistenza continuativa svolta da professionisti, in strutture adeguate, perché la fisioterapia è solo un momento di una cura più ampia e vitale per l’anziano, non solo medica, perché spazia dall’alimentazione fino alla socializzazione.
Nelle Residenze del Gruppo Votto Alessi, i programmi di fisioterapia e riabilitazione per i nostri anziani Ospiti sono molto efficaci per la riacquisizione delle abilità deambulatorie perse a seguito dell’avanzamento della senilità o a causa di patologie, operazioni chirurgiche e traumi.
Il team di fisioterapisti attua attività mirate attraverso una serie di movimenti di ginnastica dolce con o senza strumenti.
Questi esercizi possono essere sia attivi che passivi e servono per ristabilire il normale funzionamento muscolare, per minimizzare gli effetti degli handicap motori, per aumentare le funzioni e migliorare le reazioni psicologiche dei pazienti.
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Demenza vascolare
Per demenza vascolare si intende un termine generico che descrive disturbi del pensiero, dell’organizzazione, del senso critico, della memoria.
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L’IMPORTANZA DELLA TERAPIA PER GLI ANZIANI
Le terapie per gli anziani non sono soltanto quelle mediche, ma un insieme di diverse terapie da quelle mediche in senso stretto a quelle per l’alimentazione, la memoria, la socialità. Ma tutto ciò richiede una cura costante e una professionalità comprovata.
UN CASO ESEMPLARE: IL PROBLEMA DELLA DEAMBULAZIONE NEGLI ANZIANI
In tutti gli individui, la capacità di spostamento è fondamentale per mantenere l’autonomia. In particolare, le manovre di trasferimento dell’anziano possono costituire un problema che spesso assume importanza clinica, per il personale di assistenza (medico, infermiere, terapista) e per l’anziano stesso. La deambulazione, intesa come capacità funzionale, viene acquisita e sviluppata dall’individuo nei primi anni di vita: assume gradualmente caratteristiche automatico/riflesse, che migliorano e ottimizzano la capacità di spostamento nello spazio.
Con il passare degli anni, avvengono lente modificazioni a livello di controllo ed esecuzione del movimento, per cui il massimo delle prestazioni motorie si esprime intorno ai venti/trent’anni. A livello funzionale, l’esperienza può supplire per molto tempo all’inevitabile decadimento. Dopo i 65/70 anni, il cammino può assumere “fisiologicamente” delle caratteristiche di alterata o ridotta funzionalità, divenendo responsabile di circa il 50% delle cadute. Circa un terzo degli anziani è a rischio di cadute; dopo gli 80 anni, un anziano su due è a rischio.
La velocità di marcia rimane stabile fin verso i 70 anni, poi si riduce progressivamente, di un valore pari al 15% ogni decennio per la marcia normale e di circa il 20% ogni decennio per la marcia massimale.
UN ESEMPIO PRATICO: LE TERAPIE RIABILITATORIE
Passiamo ora alle soluzioni per il generale peggioramento delle funzionalità motorie, tenuto conto che a questo si aggiungono anche traumi e patologie a cui gli anziani sono maggiormente soggetti ed in alcuni casi anche un graduale deterioramento cognitivo: per tutte queste eventualità è fondamentale operare rapidamente con un’attività riabilitativa mirata, che consenta un pieno (o parziale) recupero funzionale motorio.
La riabilitazione nella terza età deve mirare alla riorganizzazione della vita del paziente anziano colpito da disabilità, in modo che possa compiere il maggior numero di esperienze positive, cioè gratificanti, pur avendo subìto delle limitazioni motorie e cognitive. Per raggiungere questo obiettivo si deve intervenire sui bisogni della persona, sul contesto sociale, sull’ambiente fisico e sulla (o sulle) disabilità.
Occorre quindi individuare i bisogni primari dell’anziano e il modo di soddisfarli; motivarlo e farlo così partecipare attivamente alle attività che gli vengono proposte per ottenere il recupero; fare accettare dalle persone che vivono a contatto con lui la sua debolezza e problematica, in modo che soddisfino i suoi bisogni secondari legati al rapporto con gli altri (bisogno di accettazione, di affetto, ecc.); intervenire sull’ambiente in cui l’anziano vive abitualmente (la casa, soprattutto) per eliminare quelle barriere che possono rendere difficili i suoi spostamenti o i movimenti in genere.
Gli obiettivi della terapia riabilitativa e strumentale sono molteplici: risoluzione dello stato infiammatorio, riduzione/scomparsa del dolore, miglioramento della funzione muscolo-scheletrica e della qualità di vita (comprese le condizioni psicologiche e la fiducia del paziente), incremento della disponibilità del paziente al trattamento riabilitativo, prevenzione della sindrome da ipo-mobilità o immobilizzazione nell’anziano, ripresa delle attività funzionali che ci si è prospettati, ridurre, parzialmente o totalmente, il “deficit” che rende disabile una persona, attraverso l’utilizzo di funzioni rimaste integre, in modo da permetterle di “vivere” al massimo delle sue capacità.
LE CURE PALLIATIVE DA NON SOTTOVALUTARE
Nel 2050 le persone che avranno più di 80 anni si quadruplicheranno e gli Anziani sono persone di grande valore, che portano un enorme contributo alla società in cui vivono. Ma gli anziani sono sempre più fragili, soffrono di numerose patologie ed hanno difficoltà e criticità nell’accesso ai servizi sanitari. Le persone anziane hanno il sacrosanto diritto ad avere accesso a cure palliative adeguate, ovvero terapie che creano in un ammalato un sollievo dalla sofferenza derivante dal dolore causato da certe malattie fisiche e psicologiche più o meno complesse.
IL VALORE DELL’AMBIENTE DOVE SI SVOLGE LA TERAPIA
Una casa di cura per anziani deve essere un ambiente che susciti un sentimento di fiducia e di sicurezza nei pazienti. L’organizzazione degli spazi deve essere finalizzata a far sentire gli ospiti accolti anche nell’affrontare le esperienze più dolorose della vita, come la malattia. Ogni elemento, dagli arredi alla geometria degli spazi al modo in cui li si esperisce, deve essere finalizzato alla riduzione dei rischi, alla facilitazione sensoriale, di interazione e di orientamento nei luoghi.
Ad esempio il malato di Alzheimer, colpito da un indebolimento della memoria e della consapevolezza di sé, ha un rapporto difficoltoso con l’ambiente in cui vive: non riconosce più i luoghi, la città, il quartiere e la casa dove ha abitato per anni. Dimentica come si usano gli oggetti. Per questo le terapie devono agevolare il soggetto nell’orientamento e nella anamnesi e devono essere strutturate in modo da agevolare le persone con un deficit cognitivo.
L’ambiente terapeutico non è solo uno spazio fisico. E’ dove si coltiva il rapporto tra ospiti e personale, i secondi in sostegno dei primi. L’ambiente terapeutico si distingue, dunque, per i vari momenti in cui viene vissuto, come le ore notturne nelle camere, i pasti nella sala da pranzo, lo svago nella sala tv. Inoltre esso ha determinati ritmi, ritualità e viene esperito in modo individuale con determinati ritmi, ritualità che si differenziano dal vissuto dei soggetti e, naturalmente, dai percorsi di cura.
LA QUALITA’ DEI NOSTRI SERVIZI TERAPEUTICI
Rispetto totale per la persona e ascolto dei singoli bisogni contraddistinguono la qualità dei servizi assistenziali per gli anziani ospiti del Gruppo Votto Alessi. Grazie a un team di Professionisti attenti, ogni servizio erogato dalle Residenze segue precise procedure, linee guida e istruzioni per curare anche gli aspetti più emotivi dei nostri ospiti.
Nelle case di riposo del Gruppo Votto Alessi inizia un nuovo capitolo della vita dei vostri cari, ricco di scoperte, di serenità, di esperienze che magari non si è mai avuto il tempo di fare.
I servizi offerti nelle nostre strutture hanno come obiettivo la cura della persona anziana e non solo, e dei loro bisogni con interventi integrati di tipo socio-assistenziale, sanitario e riabilitativo.
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Complesso Parkinson-demenza o demenza dovuta a malattia di Parkinson?
La demenza dovuta a malattia di Parkinson è una condizione che si verifica in molte persone affette da malattia di Parkinson.
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che colpisce strutture cerebrali in aree profonde del cervello, i gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che controllano l’esecuzione dei movimenti.
Nel cervello affetto da malattia di Parkinson il neurotrasmettitore dopamina, essenziale per l’attività motoria, viene prodotto in quantità inferiore rispetto a un cervello sano, a causa della massiccia perdita neuronale che interessa principalmente un’area chiamata substantia nigra (oltre il 60% dei neuroni di quest’area muore).
Dal midollo al cervello cominciano a comparire anche accumuli di una proteina chiamata alfa-sinucleina, chiamati corpi di Lewy (si trovano anche in altre forme di demenza, come la demenza con corpi di Lewy). Forse sono proprio questi aggregati proteici anomali a diffondere la malattia in tutto il cervello.
Infatti mentre si verificano questi cambiamenti neuropatologici iniziano i primi sintomi cognitivi, quali difficoltà di memoria, di concentrazione, di capacità di ragionamento e di giudizio, difficoltà interpretare informazioni visive.
Inoltre in questi pazienti l’ascolto risulta attutito, possono presentarsi allucinazioni visive, deliri, depressione, irritabilità, ansia, disturbi del sonno, come eccessiva sonnolenza diurna e disturbi del sonno REM (rapide eyes movement). La demenza dovuta a malattia di Parkinson di solito viene diagnosticata quando una persona sviluppa i primi sintomi di demenza a un anno o più dalla diagnosi di malattia di Parkinson.
Fattori di rischio per lo sviluppo della demenza al momento della diagnosi di Parkinson sono l’età avanzata, una maggiore gravità dei sintomi motori, e avere una diagnosi di decadimento cognitivo lieve (MCI). Attualmente non ci sono trattamenti per rallentare o fermare il decorso del complesso Parkinson-demenza, ma solo trattamenti sintomatici.
Il Gruppo Votto Alessi assiste ogni suo Ospite con servizi assistenziali di qualità. Lavoriamo con entusiasmo e competenza per fornire agli anziani Ospiti un contesto a misura dei loro sentimenti e bisogni, per migliorarne la qualità della vita e preservane le residue funzionalità.
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Bibliografia
- http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/altre-demenze/
- Frisoni, G. B. et al. Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology 81, 487–500 (2013).
Come allenare la memoria degli anziani
Per gli anziani la memoria è un bene fondamentale. Conservala può migliorare notevolmente la qualità della vita, perciò occorre saper allenare la memoria. Ma non bastano solo i farmaci. Serve anche uno stile di vita adeguato e inserito in rapporti sociali/affettivi vivi. Senza escludere una sana attività di movimento. Tutte attività che si integrano nella definizione di “invecchiamento attivo”.
LE REGOLE DI BASE PER CONSERVARE LA MEMORIA NEGLI ANZIANI
Per prima cosa, le cose da evitare e ridurre: il fumo, eccessivo consumo di carne, uno stile di vita sedentario, dimenticarsi di controllare regolarmente la pressione.
Queste poche ma vitali regole sono state sintetizzate in un celebre studio dello statunitense Brigham and Women’s Hospital di Boston, secondo cui uno stile di vita sano, anche se adottato quando si sono già superati i 70 anni, può costituire la chiave di volta per aggiungere altre 20 candeline sulla torta. Per tagliare il traguardo degli ambiti 90, in altre parole, darsi da fare con l´attività fisica, mangiar sano e buttare il pacchetto di sigarette nel cestino, ad esempio, diventano fattori determinanti, in barba anche a quel che è scritto nei geni.
Vivere a lungo dipende per buona parte percentuale dalla genetica. I ricercatori americani hanno calcolato che, sotto questo aspetto, il Dna conta per un buon 30%. Ma la novità a cui sono giunti, con il loro lavoro, è che uno stile di vita salutare può incidere molto di più.
Se si tagliano fuori dalla propria vita tutti i fattori di rischio, ad esempio, la possibilità di tagliare il traguardo sale del 54%.Ma se si è pigri e al movimento si preferisce la vita sedentaria, la percentuale scende già al 44%. Con la pressione alta, la possibilità di arrivare ai 90 cala al 36%, se si è obesi al 26%, se si fuma al 22%. Quando sono tre i fattori di rischio che continuano a caratterizzare la propria vita – ovvero sedentarietà , diabete e obesità – la percentuale scende ulteriormente, raggiungendo un timido 14%. Crolla, infine, se sono cinque i fattori di rischio con cui si convive. In tal caso, infatti, la possibilità di raggiungere i 90 anni scende al 4%.
GLI ALIMENTI “SALVA-MEMORIA”
Pesce e olio contengono omega-3 – Il DHA (acido docosaesaenoico) è un’ottima fonte di omega-3, un acido grasso che si trova soprattutto nei pesci (e negli alimenti vegetali come le alghe), che svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo del cervello, a partire dalla nascita. Un ruolo che continua anche nell’età adulta: un’analisi ha collegato il consumo di DHA a un miglioramento nella funzione mnemonica negli anziani con lievi problemi di memoria. Lo stesso risultato si ottiene consumando pesce ricco di omega-3 una volta alla settimana, in modo da ridurre il decremento cognitivo del 10% all’anno negli adulti e negli anziani. Ma non finisce qui! Le persone che hanno consumato pesce almeno una volta alla settimana presentano un rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer inferiore rispetto a chi invece non ne assume. Pesci grassi come il salmone, il tonno, lo sgombro, l’aringa, la trota e le sarde sono ricchi di DHA. Insomma, cerca di consumarne almeno 240 grammi a settimana.
Le verdure crucifere: cavoli e broccoli– Le verdure crucifere non solo ci forniscono vitamine e fibre, ma ci aiutano anche a mantenere il nostro cervello giovane e attivo. Un recente studio della Rush University (Chicago, Stati Uniti), che ha coinvolto circa 1.000 adulti, ha scoperto che coloro che mangiavano ogni giorno almeno una porzione di verdure a foglia verde – come spinaci, cavoli e rucola – sono risultati circa undici anni più giovani in termini di salute cognitiva rispetto a coloro che ne consumano quantità ridotte. Questi risultati sono coerenti con quelli di un altro studio svolto dal Brigham and Women’s Hospital di Boston su un campione di donne. Tra queste, chi mangiava otto porzioni di verdure a foglia verde e cinque di verdura crocifere alla settimana, otteneva risultati migliori nei test di memoria rispetto a chi consumava solo dalle due alle tre porzioni.
Anche le uova aiutano il cervello – Le uova sono ricche di colina, un importante nutriente per il cervello.
In uno studio che ha coinvolto circa 1.400 donne e uomini, coloro che hanno assunto alte quantità di colina hanno ottenuto risultati migliori nei test di memoria verbale e visiva, rispetto a coloro che invece ne hanno consumato minori quantità. Inoltre, le scansioni MRI (Risonanza magnetica) di coloro che presentano livelli di colina più elevanti risultano più sane rispetto a quelle degli altri, suggerendo che l’assunzione di questa sostanza durante la mezz’età può proteggere il cervello contro la demenza.
IL POTENZIAMENTO COGNITIVO
Ma il mantenersi attivi, il continuare ad esercitarsi è una condizione necessaria e sufficiente per assicurare un adeguato stato funzionale alla nostra mente?Se consideriamo la mente come un muscolo, l´esercizio può portare indubbiamente a dei benefici. Se, invece, consideriamo la mente come un sistema complesso in cui gli aspetti cognitivi ed emotivi interagiscono continuamente tra loro, allora bisognerà pensare a delle attività che si basano su una valutazione di come cognizione ed emozioni influenzino l´invecchiamento, per rispondere in modo adeguato alle preoccupazione della persona che invecchia e che vive i fallimenti della propria memoria come un indice di sviluppo di una patologia neurodegenerativa.
In genere, la prima memoria a decadere è quella a breve termine, non tanto quella relativa a eventi accaduti molto tempo addietro. “Per contrastare il più possibile questo processo – suggerisce lo psicoterapeuta – è fondamentale la ginnastica mentale, ovvero qualunque tipo di compito che obblighi la persona a far lavorare la memoria a breve termine. Sono certamente utili i brain games, come i giochi enigmistici, ma qualunque altro compito mentalmente impegnativo potrebbe dare gli stessi risultati”.
Allenare la mente quando si è anziani, comunque, fa bene anche per allontanare il rischio di Alzheimer. Secondo i ricercatori del Rush University Medical Center di Chicago, infatti, stimolare regolarmente le funzioni cognitive aiuta il cervello ad allontanare i sintomi di demenza senile. Il rovescio della medaglia è che, se poi la malattia compare, il suo decorso è più rapido.
Ecco alcune facilissime tecniche per allenare la memoria per gli anziani:
- Leggere: libri, giornali, avere interessi comporta un ottimo allenamento per il proprio cervello.
- Ascoltare musica: la musica risveglia sensibilità e motivazioni.
- Avere degli hobby e tenere la mente occupata: la noia non rovina solo la coppia, ma anche la memoria della persona.
- Risolvere rebus, rompicapi o parole crociate, cercando di spingere la nostra mente ogni volta a livelli sempre più difficili; Il nostro cervello come detto prima è simile a un muscolo e se non viene allenato perde la sua funzionalità.
I RAPPORTI SOCIALI AIUTANO LA MEMORIA DEGLI ANZIANI
Oltre allo stile di vita sano, agli esercizi per la memoria e ai necessari farmaci, i ricercatori dell’Università di Zurigo che hanno dimostrato che parlare ed avere relazioni sociali può essere efficace addirittura per il miglioramento della memoria degli anziani quanto l’uso dei cosiddetti “brain games”,i videogiochi che allenano la memoria.
I ricercatori di Zurigo hanno comparato 36 studi sugli esercizi di potenziamento della memoria condotti tra il 1979 e il 2007 e i cui risultati sono stati pubblicati dalla Cochrane Library. Alcuni studi suggeriscono che sia gli anziani sani, sia quelli affetti da lievi problemi cognitivi, ricordano le parole meglio dopo aver svolto alcuni esercizi per la memoria. Ma, in base ad altri studi, gli stessi miglioramenti si ottengono anche avendo una semplice conversazione.
“In base ad alcuni studi pubblicati– spiega Mike Martin, uno degli autori della revisione scientifica – sembra che l’interazione sociale garantisca gli stessi risultati degli interventi di natura cognitiva“. Dunque, per mantenere viva la memoria dei nostri anziani e non solo, potrebbe bastare una vita sociale più attiva. “Così come un bambino per sviluppare le proprie capacità cognitive ha necessità assoluta di essere costantemente stimolato socialmente, altrettanto un anziano, che si avvii a un decadimento cognitivo, ha bisogno di relazioni interpersonali non solo per tenere alto il proprio tono dell’umore, ma anche per mantenere in attività la mente” conferma Gabriele Melli, presidente dell’Istituto di psicologia e psicoterapia comportamentale e cognitiva di Firenze.
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Atrofia corticale posteriore
L’atrofia corticale posteriore (PCA), detta anche Sindrome di Benson, è una forma di demenza che di solito è considerata una variante atipica dell’Alzheimer (AD). La malattia provoca atrofia della parte posteriore della corteccia cerebrale, con conseguente progressiva interruzione dell’elaborazione visiva complessa.
La PCA è stata descritta da D. Frank Benson nel 1988.
La PCA di solito colpisce le persone in età più precoce rispetto ai casi tipici di Alzheimer, con sintomi iniziali spesso sperimentati nelle persone verso i 55/65 anni
L’Atrofia corticale posteriore è caratterizzata dalla graduale e progressiva degenerazione della corteccia posterioredel cervello, area responsabile del processamento dell’informazione visiva, a causa delle stesse anomalie neuropatologiche caratteristiche della malattia di Alzheimer (AD) (placche di amiloide e grovigli neurofibrillari).
L’età di esordio della PCA è più precoce rispetto ad AD, tra 50 e 65 anni. Un’errata diagnosi di PCA è comune poiché è una malattia rara che si manifesta in modo insolito e variabile.
Molto spesso i pazienti si rivolgono inizialmente ad un oculista perché i primi problemi sono percepiti come problemi agli occhi. Infatti il paziente lentamente sviluppa difficoltà con compiti visivi come lettura in linea, giudizi sulla distanza, distinguere tra il movimento di un oggetto e la sua stazionarietà, incapacità di percepire più di un oggetto per volta, disorientamento, difficoltà di manovra identificazione, e l’utilizzo di strumenti o oggetti di uso comune. Alcuni pazienti hanno allucinazioni.
Altri sintomi possono includere difficoltà di calcoloe molte persone possono essere ansiose, consapevoli del fatto che qualcosa non va.
Nei primi stadi di malattia molte persone non hanno marcati deficit di memoria, questi subentrano tardi nel corso della malattia.
Un trattamento scientifico specifico e accettato per la PCA deve ancora essere scoperto; può essere dovuto alla rarità e alle varianti della malattia. A volte i pazienti di PCA vengono trattati con prescrizioni create in origine per l’AD, tipo gli inibitori della colinesterasi, la Memantina, il Donepezil, la Rivastigmina e al Galantamina. Anche i farmaci antidepressivi hanno dato alcuni effetti positivi. I pazienti possono trovare benefici con trattamenti non soggetti a prescrizione, quali i trattamenti psicologici.
I pazienti di PCA possono trovare assistenza in un incontro con un terapeuta professionale o un team sensitivo per aiutare ad adattarsi ai sintomi della PCA, soprattutto per i cambiamenti visivi.
Le persone con PCA ed i loro caregivers possono avere esigenze diverse rispetto ai casi più tipici dell’Alzheimer, e possono beneficiare di gruppi di supporto specializzati. Nessuno studio finora è stato definitivo nel fornire un’analisi conclusiva accettata sulle opzioni di trattamento.
Il Gruppo Votto Alessi assiste ogni suo Ospite con servizi assistenziali di qualità. Lavoriamo con entusiasmo e competenza per fornire agli anziani Ospiti un contesto a misura dei loro sentimenti e bisogni, per migliorarne la qualità della vita e preservane le residue funzionalità.
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Bibliografia
- http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/altre-demenze/
- https://www.alzheimer-riese.it/malattia/che-cose/sindrome-di-benson#trattamento
- Frisoni, G. B. et al.Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology 81,487–500 (2013).
L’Operatore Socio Sanitario e il suo ruolo nelle RSA e case di riposo per anziani
L’ Operatore Socio Sanitario (Oss) vediamo di scoprire questa figura, a cui Il continuo invecchiamento della popolazione e la riduzione della capacità assistenziale delle famiglie, hanno conferito grande valore alla figura professionale, e umana.
CHI E’ L’OPERATORE SOCIO SANITARIO
L’Operatore Socio Sanitario è una figura di supporto all’infermiere secondo attribuzione di compito e secondo delega svolgendo una lunga serie di attività per garantire l’assistenza di base: come l’aiuto ai pazienti totalmente o parzialmente dipendenti nelle attività di vita quotidiane, igiene personale e piccole medicazioni, prevenzione di ulcere da decubito, aiuto per la corretta assunzione dei farmaci prescritti, rilevazione dei parametri vitali, realizzazione di attività semplici di supporto diagnostico e terapeutico, osservazione e collaborazione alla rilevazione dei bisogni, trasporto del materiale biologico, attuazione di interventi di primo soccorso, disbrigo di pratiche burocratiche. Inoltre l’Operatore socio Sanitario si occupa anche delle attività di sterilizzazione, sanitizzazione, sanificazione. Svolge questi compiti insieme ad altre figure, in autonomia o su attribuzione medico-infermieristica, dell’educatore professionale, del fisioterapista oppure dell’ostetrica.
L’11 gennaio 2018 il presidente della Repubblica Mattarella ha firmato la legge Lorenzin, ovvero delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute.
E’ un testo di particolare rilievo per gli Operatori Socio Sanitari perché prevede il passaggio dall’area tecnica alla specifica area delle professioni socio sanitarie.
IL VALORE PROFESSIONALE E UMANO DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO
In buona sostanza, l’Operatore Socio Sanitario è uno dei perni operativi delle Rsa e delle case di riposo, perché opera, coopera e collabora con una molteplicità di colleghi per prestare molteplici servizi agli anziani assistiti.Gli operatori socio sanitari costituiscono una cerniera tra l’universo dei pazienti e il mondo dei medici e degli infermieri: il punto di riferimento iniziale per i primi, il più forte supporto materiale per i secondi.
Devono essere in grado di assolvere a tutti i bisogni di primo livello, garantendo l’igiene dei ricoverati e assistiti (come il lavaggio di naso, denti, orecchie e il taglio delle unghie dei piedi), l’espletamento delle loro funzioni biologiche e fisiologiche (assumere i pasti, urinare, andare di corpo) e una corretta deambulazione e mobilizzazione su letto o sedia a rotelle. Mentre gli Osss (operatori socio-sanitari specializzati) estendono il raggio d’azione e dedizione agli anziani non autosufficienti, ai portatori di handicap, agli utenti psichiatrici, ai malati terminali.
Va tenuto però conto che l’Operatore Socio Sanitario, non essendo personale laureato ed avendo caratteristiche specifiche di ausiliarietà assistenziale, non ha potere decisionale su funzioni che non gli competono e si attiene alle indicazioni e prescrizioni dell’infermiere o altre professioni sanitarie(es.: ostetrica, fisioterapista…) o tecnico sanitarie (es.: tecnico di radiologia), assumendo mansioni di supporto.
COME SI DIVENTA OPERATORE SOCIO SANITARIO
La formazione è competenza delle Regioni; la qualifica di operatore socio sanitario “Oss” si consegue al termine di un percorso formativo della durata complessiva di 1000 ore (composte rispettivamente da 450 ore di teoria, 100 ore di esercitazioni e 450 di tirocinio, comprensive di esame finale) organizzate in maniera differente a seconda dell’Ente che gestisce il corso.
Le materie di studio (550 ore) sono raggruppabili in quattro aree:
1) Area socio-culturale, istituzionale e legislativa,
2) Ambito professionale specifico Area psicologica e sociale,
3) Cenni di neuropsichiatria Area igienico-sanitaria,
4) Area tecnico-operativa, che comprende attività domestico-alberghiere, assistenza domiciliare e tutelare…
LA QUALITA’ DELLA FORMAZIONE: IL VALORE CENTRALE DEL PERSONALE DEL GRUPPO VOTTO ALESSI
La Qualità delle case di riposo Gruppo Votto Alessi e dei servizi all’Ospite origina dalla professionalità e dalle competenze del nostro organico. Saper valorizzare le capacità individuali del nostro staff e prepararlo adeguatamente è uno degli obiettivi del Gruppo. La rilevanza qualitativa della formazione è l’elemento fortemente caratterizzante del nostro Gruppo, e incide in maniera diretta sulla qualità delle attività che eroghiamo; la natura relazionale e personalizzata dei nostri servizi attribuisce un ruolo centrale agli Operatori, che sono materialmente e direttamente a contatto con i destinatari stessi di tali servizi.
I servizi offerti nelle nostre strutture hanno come obiettivo la cura della persona anziana e non solo, e dei loro bisogni con interventi integrati di tipo socio-assistenziale, sanitario e riabilitativo.
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Demenza a corpi di Lewy
La demenza a corpi di Lewy (LBD) deve il suo nome al neurologo Friedrich H. Lewy, che nel 1912 scoprì depositi proteici nella corteccia e nel tronco cerebrale di pazienti deceduti affetti dal morbo di Parkinson. Queste agglutinazioni, definite in seguito corpi di Lewy, impediscono lo scambio dei neurotrasmettitori danneggiando così le cellule nervose. Non è ancora chiaro come e perché insorga. Non si conoscono neppure fattori di rischio evidenti. La LBD è una delle forme di demenza più frequenti, anche se è decisamente più rara dell’Alzheimer. Il 10-15% circa dei malati sono affetti da questa forma di demenza, talvolta associata all’Alzheimer. Gli uomini ne sono più colpiti delle donne.
La malattia comporta una perdita progressiva delle capacità cognitivee spesso disturbi motori.Attualmente è considerata incurabile. I primi sintomi si manifestano solitamente dopo i 60 anni. La caratteristica principale della LBD è la demenza. Nella vita quotidiana la LBD si manifesta con il declino delle facoltà cognitive. All’inizio la memoria è ancora ben conservata. I primi sintomi della LBD si manifestano solitamente dopo i 60 anni, inizialmente con cambiamenti nel modo di pensare e ragionare, confusione, l’attenzioneè estremamente fluttuante, varia significativamente sia nell’arco della giornata che da un giorno all’altro. Diversamente dalla malattia di Alzheimer all’inizio la memoria è ancora ben conservata, successivamente viene compromessa ma con deficit meno evidente. Col progredire della malattia vengono coinvolte le capacità di programmazione, l’organizzazione, l’adattabilità, la motivazione. Possono essere presenti disturbi motori, tipici del Parkinson, come ad esempio una postura ingobbita, problemi di equilibrio e rigidità muscolare. Spesso si osservano anche altre caratteristiche quali allucinazioni, disturbi del sonno REM (rapide yes movement) con sogni vividi, disturbi neurovegetativie sintomi psichici.
I Corpi di Lewy non sono esclusivi di questa condizione patologica ma si trovano anche in altre demenze, come la malattia di Alzheimer e la malattia di Parkinson, come dimostrato anche dalla sovrapposizione di alcuni sintomi. La diagnosi di LDB è una diagnosi “clinica”, ovvero è un giudizio dello specialista sui segni e sintomi esperiti dal paziente. L’unico modo per diagnosticare definitivamente la DLB è attraverso una autopsia post-mortem. Attualmente non ci sono trattamenti che possono rallentarne o arrestarne il decorso, ma solo trattamenti sintomatici per cercare di migliorare la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari.
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Bibliografia
- http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/altre-demenze/
- www.alz.ch
- Frisoni, G. B. et al.Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology 81,487–500 (2013).